Specificità dell'intervento di Counseling nel Processo Decisionale

Se di fronte al counselor vi è un cliente che deve prendere decisioni empiriche, preparandosi ad agire in situazioni in cui le informazioni a sua disposizione sono incomplete, allora di fronte al cliente vi deve essere un professionista per cui l'incertezza è diventata la cifra della sua professione.

Qual è la competenza del counselor nell'affiancare il cliente nella sua personale presa di decisione?

Non è quella di "capire" la logica razionale ed emotiva che muove il cliente (questa dimensione appartiene piuttosto alla psicologia cognitiva e comportamentale); non è quella di "depistare" e "curare" ciò che lo spinge a fare una scelta piuttosto che un'altra (questi interventi sono specifici alla valutazione clinica); ma è quella di "esplorare" e "(ri-)narrare" il suo pensiero e in modo particolare la sua "mappa" personale dei rischi, e di "descrivere" la migliore strategia, dopo aver "valutato" le eventuali alternative.

Il counselor non è un professionista "supposto saperne di più" del proprio cliente nella materia così vasta delle decisioni nella vita quotidiana. Non prende il posto del medico con il proprio paziente: non diagnostica e non fa prognosi rispetto alle scelte da farsi. La pratica del counseling non si basa su un know-what, sulla conoscenza, ma su un know-how, sul sapere che richiama la consapevolezza.

Lo specifico affiancamento del cliente nel counseling decisionale richiede al counselor di essere un professionista della relazione, della comunicazione ecologica, fatta di colloqui all'interno di un percorso breve, che non perde e non fa perdere il cliente nella foresta delle scelte, delle possibilità e dell'incertezza.

Il cliente, alla fine di questo percorso, arriverà consapevolmente a prendere e assumere la propria decisione, a partire dalle sue risorse e tenendo conto della sostenibilità per il suo sistema e per i sistemi di cui è parte.