Descrivere consapevolmente

13.03.2021

"Le nostre paure più profonde sono come dei draghi
a guardia del nostro tesoro più segreto"
(R.M. Rilke)

La similitudine, l'analogia, la metafora... strumenti potenti e devianti, figure retoriche di significato, possibilmente da lasciare ai poeti laici e religiosi, maledetti e zen... se non vogliamo farci del male o farne ad altri.

Se chi per lavoro o per vocazione, con una sola immagine sonora, riesce a condensare il senso dell'esistenza, spostando la nostra attenzione, incagliatasi su fondali mortiferi, verso orizzonti più vasti e cieli sgombri e infiniti, vi è chi invece per caso s'imbatte in un'immagine, inconsapevolmente vicina alla realtà che lo sta pungendo, e la erge a cittadella fortificata da cui guardare e giudicare un mondo ridotto a una delle sue feritoie.

Due soli esempi a testimonianza di quanto possa essere destabilizzante l'uso improprio di una di queste figure retoriche, per i non addetti al lavoro, nella comunicazione quotidiana.

C'è chi, in questo periodo, ha abusato del linguaggio per inquinare la riflessione di coloro che stanno valutando l'opportunità di farsi vaccinare o meno. Per spostarli dal loro dubbio, ha osato paragonare la loro "infondata incertezza" all'atteggiamento di chi, prima di prendere un aereo, voglia assicurarsi dello stato meccanico del velivolo in tutte le sue parti, dell'esperienza del pilota e dell'adeguatezza del personale di bordo in caso di rischio, per potersi affidare in coscienza e conoscenza di causa, ma senza per l'appunto avere competenza in materia. Visto che nessuno (forse) si comporta in questo modo prima di salire sull'aereo, la conclusione logica porta a giudicare negativamente chi oggi tentenna invece di correre a farsi vaccinare comunque! 

Traduco: vaccinarsi con uno dei prodotti disponibili attualmente sul mercato è come spostarsi con una compagnia aerea che ci fa raggiungere la meta tanto desiderata... e allora, cosa aspetti?!

C'è chi, risentito per aver subito un trattamento percepito come ingiusto, vorrebbe vedere applicata la medesima punizione a tutti gli altri, alla prima occasione che si presenti. Accade per esempio a scuola, quando ricevuta una nota da una professoressa per aver detto una parolaccia, l'allievo segnala il giorno dopo a un altro professore che una sua compagna ha appena commesso l'identico errore e come tale va punita allo stesso modo. Di fronte al "metro" di giudizio differente - applicato dal professore - l'allievo si lancia in un'improvvida comparazione della "parolaccia" al "passare con il rosso", inquinando l'ambiente (l'ascolto dei compagni) con il sospetto che il professore stia commettendo un'ingiustizia, di cui l'allievo è ovviamente la vittima al quadrato e la compagna: la graziata di turno. "Come se" un vigile multasse un cittadino che passi con il rosso, e guardasse da un'altra parte quando una cittadina commetta la stessa violazione: sarebbe inaccettabile, ingiusto moralmente e condivisibile all'unanimità il risentimento del compagno. 

Ma se la stessa parolaccia non fosse stata paragonata al semaforo rosso, bensì a una cartaccia caduta fuori dal cestino (perché si è scelto quello pieno) o a una gomma da masticare lanciata fuori dal finestrino, l'intervento dell'insegnante avrebbe potuto prevedere non una "nota" punitiva, ma un intervento educativo sulla gestione delle proprie emozioni e sull'adeguatezza della loro espressione ai diversi contesti?

Se da un lato, la qualità dell'ascolto si misura nell'abilità di non lasciarsi trasportare dalle onde anomale delle similitudini, analogie e metafore, per non farsi destabilizzare nel proprio giudizio, dall'altro lato sarebbe opportuno e più che sufficiente dedicarsi semplicemente a descrivere ciò che ci accade, ciò che sentiamo come ingiusto o incerto, piuttosto che imprigionarci in figure retoriche nate per schiudere nuovi sensi invece che imbrigliare chi le usa senza sapienza in sterili prese di posizione.

© 2020 Edoardo Gianmaria Formigoni, Professional Counselor
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